In
questi ultimi due anni (a partire dall’ inverno 2010/11) i paesi
del Medio Oriente e del Nord Africa sono stati sconvolti
da bruschi e improvvisi cambiamenti politici e sociali.
Manifestazioni politiche che per noi europei erano apparse come
movimento nato spontaneamente e pacificamente tra la gente, hanno
portato alla caduta di regimi di governo che da lungo tempo erano al
potere, quasi da sembrare dittature.
I
fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e non sempre
facilmente identificabili, ma comprendono senz’altro, tra
le principali cause, la corruzione, l'assenza di libertà
individuali, la violazione dei diretti umani e le condizioni di
vita molto dure, che in molti casi riguardano o rasentano la
povertà estrema.
Per
esprimere questo fermento di desiderio di cambiamento e di speranza è
stato coniato dai media occidentali il termine di “Primavera
Araba”, intesa come un nascente processo di trasformazione
democratica di questi paesi. I paesi maggiormente coinvolti dalle
sommosse sono stati l'Algeria, il Bahrein, l'Egitto, la Tunisia, lo
Yemen, la Giordania, il Gibuti, la Libia e la Siria, mentre ci
sono stati moti minori in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan,
Somalia, Iraq, Marocco e Kuwait.
A
due anni dall’inizio di quella che possiamo chiamare rivoluzione,
quattro capi di stato sono stati costretti
alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Ben
Ali il 14 gennaio 2011, in Egitto Mubarak l'11
febbraio 2011, in Libia Gheddafi che, dopo un
sanguinoso conflitto e una lunga fuga da Tripoli a Sirte, è stato
catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011 e infine
nello Yemen Ali Abdullah Saleh il 27 febbraio
2012.
Tuttavia
l’organizzazione politica sucessiva di questi stati, anche a
seguito di libere elezioni, ha fatto emergere la prevalenza di
governi di impronta meno laica e più religiosa, di tendenza islamica
e per noi occidentali è sempre più difficile capire cosa realmente
stia accadendo e quali siano le reali ragioni (politiche e
internazionali) dietro a questi cambiamenti e più che attendersi
“un’estate di pace solare araba”, ci viene in mente
che è già iniziato un “rigido inverno arabo”, dove forze
integraliste dell’ambiente musulmano stanno prendendo il
sopravvento, con il rischio dell’instaurazione di regimi dominati
dalla parte politica dei Fratelli Musulmani .
Un
caso ancora più particolare e di maggiore complessità riguarda ciò
che sta succedendo in Siria.
La
situazione in Siria, a differenza degli altri paesi appare più
complessa e di difficile decifrazione. La Siria
è uno stato cuscinetto tra Israele, Giordania, Libano, Iraq e
Turchia. Inoltre è fortemente legata all’Iran in quanto il potere
è in mano ad una minoranza religiosa degli Alauiti (10%), una
fazione dei musulmani sciiti (e quindi alleati con Iran) che
governa su una maggioranza (60-70%) di sunniti, musulmani dell’Arabia
Saudita. E’presente anche una minoranza cristiana (15%), che
nonostante le libertà di espressione politica fossero limitate, il
governo di Bashar tutelava, essendo il suo un governo prettamente
laico.
In
Siria le sommosse popolari del 2011-2012 hanno
assunto connotati violenti sfociando in sanguinosi scontri tra
polizia e manifestanti, che avevano l'obiettivo di spingere il
presidente siriano Bashar
al-Assad ad attuare le riforme necessarie a dare un'impronta
democratica allo stato. Tuttavia il regime ha proceduto a sopprimere,
anche ricorrendo alla violenza, le dimostrazioni messe in atto dalla
popolazione, provocando un numero finora imprecisato di vittime tra i
manifestanti e le forze di polizia.
In
effetti appare sempre più evidente che in Siria non si
tratti soltanto di una questione interna, ma che vi siano
implicazioni e strategie politiche internazionali, con l’obiettivo
di creare nuovi equilibri nell’area.
Fra
gli schieramenti che prendono parte a quella che si presenta
all'opinione pubblica come "Guerra civile siriana" si
devono evidenziare i ruoli di quanti hanno offerto appoggio al
governo siriano e di quelli che lo hanno fatto in favore delle forze
ribelli. Fra gli stati che hanno espresso il loro appoggio alle forze
ribelli si possono menzionare Qatar, Arabia
Saudita, Giordania e Turchia che
riforniscono le sopra menzionate truppe con materiale e attrezzature
logistiche, mentre il governo di Damasco riceve
da parte di Russia e Iran rifornimenti
in strumenti, armi, oltre a uomini di Hezbollah provenienti
dal Libano.
Per
capirne un po’ di più ho chiesto a mio padre, che ha lavorato sino
al 2011 in Siria alla costruzione di una centrale elettrica, cosa ne
pensasse e quale fosse stata la sua esperienza diretta.
Mio
padre, che si è recato regolarmente per una settimana al
mese dal 2008 al 2011 in Siria, mi ha detto che non si
sarebbe mai aspettato una situazione del genere. Per
quanto fosse percepibile che il paese non disponesse di una completa
libertà di espressione politica, soprattutto per la forte presenza
di militari e di servizi segreti un po’ dappertutto, tuttavia si
scorgeva una nazione che, se pur con fatica, stava cercando di
implementare un processo di modernizzazione e di progresso. La gente
non sembrava particolarmente interesssata alla politica, quanto
piuttosto a fare affari ed aumentare il benessere. Purtroppo quello
che si poteva anche constatare era che chi era vicino al partito del
Presidente aveva molti più privilegi e più opportunità di
acquisire potere economico, inoltre non mancavano poi fenomeni di
corruzione. Questa situazione, resa pubblica tramite
internet e i social network ha sicuramente innescato la protesta
popolare, purtroppo repressa violentemente dal regime di Bashar Al
Assad. Tuttavia mio padre mi ha anche informato che soprattutto
all’inizio della rivolta, gran parte della popolazione era a favore
del governo e molti scontri militari venivano provocati apposta dai
ribelli (molti dei quali non erano neanche siriani), sparando contro
la gente inerme.
Ora
purtroppo la situazione è talmente degenerata che di
fatto si tratta di guerra civile tra popolazioni che fino
a pochi mesi prima convivevano in pace. Mio padre di certo
non difende l’operato del governo che si è dimostrato sempre più
feroce e crudele contro la propria popolazione ed incapace di trovare
una soluzione di mediazione pacifica, tuttavia ritiene che l’origine
di questa guerra non risieda solo e soltanto all’interno della
Siria, ma forse e soprattutto al di fuori dei confini del paese, nel
conflitto tra due diverse impostatazioni della presenza politica
dell’islam (sciita (Iran ) o sunnita (Arabia Saudita) e nel
rapporto con Israele.
Mio
padre non riesce a dare una spiegazione completa a tutto ciò, ma per
quel che può valere, mi ha consegnato questa presentazione che gli
ha mandato un amico siriano all’inizio della guerra, dove appare
chiaro il messaggio secondo il quale i siriani stessi non
capiscono la ragione di tanta violenza e il motivo delle ingerenze
straniere in Siria, “visto che non c’è il petrolio” (spesso
motivo principale di molti conflitti) e che il loro paese
possedeva (perchè purtroppo dopo due anni di guerra molto
è andato distrutto) patrimoni storici, artistici e
culturali tra i più antichi all mondo, meritevoli di
salvaguardia.
di
Daniele Alessi
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